lunedì, 28 Agosto 2017

Christopher Nolan: “Dunkirk omaggio a mio nonno morto in guerra”

di Francesca Scorcucchi
Il regista di inception spiega le ragioni del sul film sulla Seconda Guerra Mondiale


Maggio 1940. Seconda Guerra Mondiale. Hitler avanza, sembra invincibile. Un mese prima ha conquistato Danimarca e Norvegia, ora invade Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo e poi rivolge le sue mire verso la Francia. Dunkerque, porto sulla costa Nord, viene conquistato in un giorno. I trecentomila soldati inglesi che hanno tentato di difenderla si ritrovano su una spiaggia, senza protezione, senza via di uscita. A sud c’è il nemico, a nord la lingua di mare della Manica, 26 miglia di mare li separano da casa. Le navi da guerra inglesi non riescono ad avvicinarsi alla spiaggia poco profonda, il porto di Dunkerque viene sistematicamente bombardato dalla Luftwaffe. Solo quel genio di Churchill riesce a farsi venire un’idea banale e perfetta. La storia di Maometto e la montagna. Se quei trecentomila soldati inglesi non riescono a raggiungere casa, allora sarà casa ad andarseli a prendere. Chiama a raccolta tutti i possessori di un’imbarcazione sulla costa inglese, pescatori, diportisti. Una flottiglia di gusci di noce parte per un viaggio per l’inferno e ritorno.

Ora questa storia è al centro di un dei maggiori successi cinematografici del 2017.

Da tempo Christopher Nolan, il regista di The Dark Night, Memento, Inception e Interstellar, voleva raccontarla. Da quando, una ventina di anni fa, insieme alla moglie Emma fece lui stesso quella traversata. “Conoscevo il racconto dell’evacuazione di Dunkerque sin da bambino. Ogni inglese la conosce. Un giorno, mia moglie ed io, con l’aiuto di un amico che ha una piccola imbarcazione da diporto abbiamo voluto fare quel percorso. Fu molto difficoltoso e non ci piovevamo bombe addosso. Cosa fecero, nel maggio del 1940 quei coraggiosi pescatori inglesi è davvero incredibile”.

Biondo, occhi azzurri, ancora bello a 47 anni, Christopher Nolan è elegante sino all’eccesso nella sua giacca blu sopra un panciotto grigio nel caldo dell’estate californiana (ma bisogna ammettere che l’aria condizionata dell’hangar dell’aeroporto di Santa Monica dove è stata organizzata l’intervista, dà ragione al suo abbigliamento british). Vuole dividere i suoi meriti con la moglie seduta accanto a lui, da sempre produttrice dei suoi film.

 

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Video di Francesca Scorcucchi


“Emma ed io abbiamo parlato molto di quella traversata e di quell’episodio. Abbiamo iniziato a leggere resoconti di reduci. Eravamo incuriositi dal fatto che nessuno, in epoca moderna ha mai pensato di raccontare al cinema una storia così. Poi abbiamo capito. Raccontava una sconfitta. E’ rischioso raccontare le sconfitte, ma io non la vedo così. E’ la storia di un’evacuazione, di un’operazione militare successiva alla sconfitta, ma così ben riuscita che cambiò le forti del conflitto, risollevò il morale degli Alleati”. Nolan ha anche una ragione molto personale per raccontarla. “Mio nonno era ufficiale di rotta su un bombardiere dell’aeronautica britannica durante la guerra. Sopravvisse a 45 missioni. Di solito dopo 45 missioni ti assegnavano ad altri incarichi, come istruire nuovi piloti, ma lui ne fece una ancora e venne ucciso. Fu seppellito in un cimitero militare in Francia. Siamo andati a visitare la sua tomba mentre eravamo in zona per girare il film. E’ stato molto toccante. Non l’ho mai conosciuto, aveva poco più di trent’anni quando morì. Erano tutti giovanissimi, molti avevano solo diciotto, diciannove anni”. Per questo Nolan ha sottoposto la produzione a un lungo processo di casting. Voleva trovare attori di quell’età. Fionn Whithead, ad esempio, ha vent’anni ed è alla sua prima esperienza a Hollywood. "Spesso quando si girano film di guerra, attori più noti e più vecchi vengono usati per interpretare soldati giovanissimi. Io ho voluto che quei ragazzi sul set avessero lo stesso sguardo inesperto dei giovani soldati che affrontarono quella guerra”.

Però qualche volto noto c’è: Mark Rylance, Tom Hardy e l’idolo delle ragazzine e ex front-man degli One Direction Harry Styles, che per quanto sia bravo su un palco non aveva mai recitato prima. “Non conoscevo Harry se non dai racconti esaltati delle mie figlie. Mi ha colpito il suo carisma e il talento immediato e naturale”. La scelta di ingaggiare Styles non è avvenuta senza un prezzo da pagare: all’incauto annuncio fatto dalla produzione per la ricerca di comparse, si è presentata sul set un’orda di ragazzine. Il film è stato tutto girato nei luoghi veri di quella storia. La spiaggia di Dunkerque, la Manica, il cielo dove sono stati fatti volare aerei dell’epoca. E Nolan ha fatto anche una particolare scelta editoriale nell’uso del tempo. Ha raccontato tre storie che s’intersecano tra loro. Una di terra, la sopravvivenza di quei ragazzi sulla spiaggia per una settimana, una di mare, il viaggio delle imbarcazioni, attraverso la Manica, durato in giorno, e una di cielo, la battaglia fra gli aerei nazisti e gli Spitfire inglesi che cercavano di impedire al nemico di gettare bombe sulle teste dei soldati. “Si può fare un film in tempo reale oppure raccontare un millennio. Questa storia, per essere ancora efficace doveva essere raccontata da punti di vista e dimensioni temporali diversi”. Accanto a Dunkerque c’è Calais, uno dei più grandi campi profughi europei. “La cosa che mi colpisce di più è che non puoi guardate alle immagini di allora, a quei giovani soldati che cercano di salire su quelle piccole imbarcazioni sovraccariche di gente senza pensare a quello che succede oggi nei nostri mari, senza pensare ad altre imbarcazioni cariche di gente che scappa dalla guerra. Oggi viviamo in un mondo ipertecnologico che ci sembra migliore, ci sembra di aver fatto tanti passi avanti, ma quando vedi le immagini dei rifugiati che cercano di attraversare il Mediterraneo ti rendi conto che no, il mondo non è cambiato molto".