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Intervista al cantante soldato: il nuovo album, Lady Diana e la Siria
Al suo arrivo, con qualche minuto di ritardo per colpa del volo, James Blunt saluta con un sorriso e un italianissimo “Ciao, buonasera, buongiorno!”.  Lo abbiamo incontrato a Milano per la presentazione del suo nuovo disco, il quarto, intitolato Moon Landing (Allunaggio) e in uscita il 22 ottobre. Per lui è un ritorno alle origini, l’album che avrebbe scritto se non ci fosse stato Back to Bedlam, il disco che lo ha traghettato nel mondo pop strappandolo dalla culla indipendente che lo aveva visto nascere come musicista. “Moon Landing è un album sincero - ci racconta - è un ritorno alle origini con l’amico di sempre, il primo produttore Tom Rothrock”.



Dietro a 17 milioni di album venduti, tre tour mondiali e cinque nomination ai Grammy, c’è un artista con i piedi per terra e lo sguardo alle stelle, cresciuto combattendo le insicurezze comuni a tanti adolescenti: “Da ragazzo non sono mai stato bello e non mi è mai piaciuto il suono della mia voce – ha confidato – ma credo sia così per tutti. Non ho mai dormito… ma ho sempre sognato”. E questo invece non è così comune, come singolare è il suo continuo richiamo ai trascorsi nell’esercito, un elemento distintivo che fa parte della sua vita: James è nato in un ospedale militare a Tidworth, nel sud dell’Inghilterra, si è arruolato nelle forze armate per starci quattro anni diventati poi sei, è stato in missione in Kosovo, ha visto morire amici, soldati e civili. Solo dopo ha realizzato il suo sogno di bambino e ha iniziato a fare musica con la pelle un po’ più dura e le spalle sufficientemente larghe per sopportare le pressioni dello showbiz.

Esercito e musica: due mondi molto diversi. Cosa li accomuna?

“Credo che il musicista debba comunicare onestà. Ed è quello che facevo nell'esercito: ero un ricognitore e il mio comandante mi mandava al di à delle linee nemiche. Dovevo monitorare le zone di pericolo per fornire le informazioni utili a individuare i rischi che le nostre truppe potevano incontrare. Da musicista faccio più o meno la stessa cosa. Sono sensibile, ascolto quello che accade attorno a me, prendo nota e racconto tutto al mio pubblico sul palco. Senza censurarmi, con tutte le mie debolezze e le mie forze”.

Non è facile stare sul palco con tutta questa onestà.

“Non lo è affatto, ma c’è un elemento ricorrente che ormai fa parte di me e si chiama uguaglianza. Io sono su un palco non per elevarmi dagli altri, ma perché non sono moto alto (sorride). Non si stava nell’esercito per soldi perché non eravamo ben pagati, ma eravamo una squadra, ciascuno di noi facevadel proprio meglio per proteggere l’altro e così è sul palco con la mia band. Ognuno dà il massimo”.

Parliamo del suo impegno umanitario.

“I miei cugini, mio zio, i miei amici sono in missione anche ora, mentre parliamo. Non ho potuto fare a meno di aiutare a Help for Heroes, che dà assistenza ai veterani a lungo termine. Votiamo i politici che mandano le persone in guerra e anche se non siamo d'accordo nel modo in cui le forze militari vengono impiegate, siamo responsabili per loro. La cosa più terribile è che per ogni soldato ferito o ucciso, altrettanto avviene a dieci civili. E per questo sono impegnato con Medici senza frontiere, per raccogliere fondi, perché si occupano dei civili. L’ho visto con i miei occhi, nel Kosovo. Io ero mandato in avanscoperta dal mio capitano, in terra nemica e i volontari erano sempre più avanti di me, quindi ancora più in pericolo”.



Ha parlato di disaccordo. Si riferisce all’Afghanistan?

“In Kosovo era tutto molto chiaro per me. C’erano due popoli che si stavano massacrando e siamo intervenuti per evitare che continuassero. Sono tornato nei Balcani sette anni dopo il conflitto: gli strascichi della guerra ci sono, ma le nostre intenzioni erano buone ed era giusto essere lì. Forse ci siamo fatti distrarre subito dopo e siamo spartiti per altre destinazioni troppo presto. Certo… ci sono sempre giustificazioni: in Afghanistan siamo andati perché i talebani stavano creandosi una base, ma pensare di aver trovato una motivazione per invadere l’Iraq è un'altra cosa. Ci stiamo prendendo in giro. Siamo stati i poliziotti del mondo per troppo tempo e questo ci sta creando dei problemi, adesso in Siria non sappiamo cosa fare”.



Cioè?

“Io vedo donne e bambini uccisi in continuazione e noi non facciamo niente per impedirlo. Non sono d'accordo con il regime di Assad e non lo sono coi ribelli. Ma dovremmo cercare di intervenire per fermare il massacro degli innocenti. Quando indossi una divisa ti trovi in mano un fucile o una vanga e la politica può decidere di fare di te un uomo distruttore o uno costruttore, di pace. Ho lavorato con tantissimi soldati, anche italiani, ed erano tutti brave persone: uomini che se vedono donne e bambini subire violenza, per la strada, non stanno fermi ma intervengono”.

C’è quel suo passato nelle sue canzoni?

“Blue on blue, per esempio, è una definizionemilitare. Significa fuoco amico e descrive la situazione in cui due soldati si sparano per sbaglio e uno dei due muore. Questo succede anche nelle relazioni, purtroppo. Spesso feriamo le persone che amiamo di più senza volerlo”.



Bonfire Heart è il singolo già uscito, una ballata romantica. Nel video c’è lei su una motocicletta che assapora la libertà e scatta foto a sconosciuti.

“E’ tutto vero, cioè non sono attori. Compresa la festa di matrimonio finale, dove siamo capitati per caso. Il video è un viaggio al confine tra Idaho e Wyoming, posti meravigliosi e isolati. A un certo punto ci fermiamo in un parcheggio e cominciamo a montare il set con le luci. In un bar vicino c’era una festa di nozze e gli sposi, incuriositi, sono usciti a vedere cosa stessimo facendo. Così ho preso la chitarra acustica e, presto dall’atmosfera, ho cominciato a suonare. Quando hanno capito chi ero mi hanno detto: “Ma sei davvero tu!! Cosa ci fai qui in mezzo al mondo?!” E poi ho suonato Bonfire Heart e loro hanno ballato, da marito e moglie, per la prima volta”.

E poi c’è Miss America, dedicata a Whitney Houston

“Sì, parla della sua storia così tragica. Lei era molto bella e aveva una voce meravigliosa ma noi spettatori ci siamo focalizzati sul suo lato più buio. Come abbiamo fatto con Lady Diana e con Amy Winehouse. Ogni nostro clic sulle loro foto, ogni magazine che compriamo per leggere delle loro difficoltà, è un paparazzo in più davanti alle loro case. Aumenta la pressione, lo stress, l’ansia. Anche noi siamo responsabili della loro caduta”.

A lei non è successo.

“Ho amici fidati e una famiglia che mi ama. Questo aiuta, così come l’esperienza in guerra, che ha contribuito a mettere tutto nella giusta prospettiva. Il mio stato d’animo si ridimensiona quando ricevo le brutte notizie dai miei compagni, che ogni giorno rischiano la vita. Ho girato a lungo nei carri armati, ora lo faccio in un tour bus, ma mi assicuro di avere un frigo ben fornito”.
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