Interviste
 
A sessentun anni interpreta una donna che vuole diventare madre
Era davvero tanto tempo che a Kim Basinger non veniva offerto un ruolo da protagonista. Per una donna di 61 anni (compiuti lo scorso 8 dicembre) ci sono pochi ruoli importanti, nella razzista ‘industry’ hollywoodiana. L’ultimo è stato The Burning Plain - Il confine della solitudine, nel 2008, in cui interpretava la madre di una giovanissima Jennifer Laurence.

Questa di The 11th hour, letteralmente L’undicesima ora, ma non c’è ancora un titolo italiano, né una data di uscita, avrebbe potuto essere l’occasione per rilanciare una carriera così brillantemente iniziata negli anni Ottanta e Novanta, con film come Nove settimane e mezzo, Batman di Tim Burton e L.A. Confidential (con il quale vinse l’Oscar nel 1998 ), ma a detta dei critici statunitensi, si tratta di un’occasione sprecata e il film non esce dai confini di una pesantezza senza redenzione.

Per gli anglosassoni l’undicesima ora indica l’ultimo momento utile in cui cambiare per il meglio e Kim Basinger in questo thriller diretto da Anders Morgenthaler, interpreta Maria, una donna in carriera che nella vita ha ottenuto tutto tranne un figlio. Il film la segue nel suo estremo tentativo di maternità, che la porterà a intraprendere un viaggio pericoloso e buio, in un mondo fatto di un sottobosco di umanità disperata.

Certamente estremizzato, l’argomento è comunque molto attuale, come conferma la stessa attrice: “C’è una donna d’affari, capace e determinata. Vuole un bambino. Ci sono moltissime donne oggi che lavorano duro e che raggiungono quel momento nella loro vita in cui sanno di dover prendere l’ultimo treno. Vogliono un bambino, nell’ultima finestra disponibile della loro vita in cui quel sogno può diventare possibile. E’ qualcosa che succede spesso oggi. Abbiamo voluto raccontare una storia contemporanea.

Fortunatamente non tutte queste maternità tardive si concludono in un percorso così tragico.

Maria discende in una sorta di Inferno dantesco. Lei lo vuole fare perché vuole raggiungere il suo scopo ad ogni costo. La nostra è una metafora di una grossa fetta della popolazione femminile di oggi. Molte professioniste scelgono di anteporre la carriera, di non avere una famiglia sino al momento in cui c’è un risveglio. E allora la vogliono.

Non per tutte è così però.

Ho sempre ammirato le donne che riescono essere coerenti con la loro scelta. Che decidono di non avere figli e non cambiano idea. Che sanno di non riuscire a gestire bene la loro vita professionale insiene all’impegno di una famiglia. E sanno rinunciare alla seconda.

Sta cambiando il mondo del cinema per quanto riguarda i ruoli per le donne? Ci sono più opportunità ora?

Credo di sì, credo stia cambiando in meglio. Credo che stiano iniziando a vedersi all’orizzonte film con eroine femminili molto forti. Hunger Game ha aperto la strada, ora ci sarà Ghostbuster con un cast tutto al femminile e donne registe e sceneggiatrici iniziano finalmente a vedere apprezzato il loro lavoro.

Lei l’ha visto 50 sfumature di grigio?

No, ma fui invitata ad uno screening.

Lei ha inventato il genere, con Nove settimane e mezzo.

Sono molto orgogliosa di quel film. Molto orgogliosa della mia collaborazione con Mickey Rourke e con il regista Adrian Lyne. Dopo la fine del film non ci siamo più incontrati, ma l’altro giorno ero a Hollywood e mi sono sentita chiamare, era Adrian.

Abbiamo parlato dei vecchi tempi. Sono stati prodotti parecchi film erotici, anche prima di Nove settimane e mezzo, ma in qualche modo noi siamo stati dei pionieri. Personalmente quel film ha rafforzato la mia relazione e la mia opinione sulle donne.

Il suo prossimo progetto invece è un altro thriller, The nice guys, che la vede recitare insieme a Russell Crowe, con cui ha condiviso il set di L.A. Confidential.

E’ stato bello tornare a recitare con Russell ma sul film non posso dire nulla. E’ ancora un segreto.

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