Cinema
- venerdì, 24 Febbraio 2023
Kill me if you can, Infascelli ci racconta "Rambo" Minichiello
L'ex marine italo-americano, dirottatore da record, ispirò la vicenda di Rambo.
Raffaele Minichiello, Alex Infascelli - Roma - 21-10-2022 - Kill me if you can, Infascelli ci racconta

(KIKA) - ROMA - Forse non tutti sanno che... Rambo, l'eroe portato sul grande schermo da Sylvester Stallone e protagonista del libro di David Morrell, è ispirato alla vicenda di un italo-americano: Raffaele Minichiello, un ex marine considerato il responsabile del primo caso di dirottamento aereo intercontinentale, il più lungo nella storia dell'aviazione civile: oltre 19 ore da Los Angeles a Roma per un totale di quasi 11.000 chilometri in aria.

LEGGI ANCHERomaCinemaFest: Kill me if you can, la storia del Rambo italiano

Dopo quel dirottamento, la vita di Raffaele Minichiello non è stata rose e fiori: in Italia si è sposato e ha avuto un figlio, ma ha perso la moglie, morta di parto con il bambino che portava in grembo. Si è risposato, ma anche stavolta la tragedia lo ha raggiunto. Lui ha superato tutti i dispiaceri con l'aiuto della fede cristiana.

La sua storia è diventata prima un libro, Il Marine di Pier Lugi Vercesi, poi un documentario, Kill Me If You Can, diretto da Alex Infascelli e presentato in anteprima al RomaCinemaFest, prossimamente nelle sale italiane il 27 e e 28 febbaio e il 1 marzo. 

Abbiamo incontrato Alex Infascelli che ci ha parlato di Raffaele, del suo messaggio "che non ha un messaggio", di come in lui convivano il fatalismo e l'improvvisazione italiana e il metodo americano, del suo essere straordinariamente contemporaneo. 

Come è venuto a conoscenza della storia di Raffaele Minichiello?

La storia di Raffaele Minichiello veniva raccontata nella mia famiglia da tantissimi anni perché una parte della mia famiglia sta nell'aviazione, prima militare e poi civile, per cui si raccontava di questo dirottamento perché la notte in cui Raffaele era atterrato a Fiumicino mio zio era di servizio. Dopodiché, come è successo precedentemente nel caso del documentario su Emilio D'Alessandro e Kubrick e poi di Francesco Totti, è arrivato un libro, Il Marine di Pierluigi Vercesi, che mi ha “illuminato” su tutte quelle parti che non venivano raccontate alle cene di Natale o in quelle occasioni familiari in cui si ricordava il dirottamento e ho scoperto quindi c'è molto di più oltre la vicenda del dirottamento.

Anzi: la vicenda del dirottamento è assolutamente funzionale a tutto quello che succede dopo, è come un incipit, nient'altro che un'introduzione, musicalmente verrebbe di pensare proprio all'intro: come in un album, un qualcosa che è completamente staccato dal resto e che però dà il senso a tutto quello che si ascolta dopo.

Cosa l'ha affascinata della storia di Raffaele Minichiello, del personaggio Raffaele Minichiello e dell'uomo Raffaele?

Io credo che la cosa che più mi ha affascinato di lui sia la totale inconsapevolezza e la follia, se vogliamo chiamarla così. Il fatto che lui abbia incarnato sempre l'età che aveva nel momento in cui andava a compiere quegli atti che hanno poi scandito la sua vita. Ad esempio: un ragazzo che va in guerra a 17 anni e mezzo, poi torna e si sente tradito dal proprio Paese, non può che reagire in quel modo. Chi non reagisce in quel modo ha un problema, perché è tale il trauma che si può avere vissuto in una vicenda come quella, che nel momento in cui viene a mancare una Patria, un padre, una guida, un supporto, è necessario secondo me - proprio per una crescita - compiere un atto, un gesto così esterno. Che qualcuno potrebbe dire terroristico, ma secondo me è un atto vitale di rivolta... che poi in realtà è servita a molti, come tanti atti come questo.

Successivamente, nella vita Raffaele sembra sempre essere puntuale all'appuntamento con la propria esuberanza, incoscienza, che però delinea una vitalità rara in un essere umano che ha subito così tanti traumi. Perché quello che viene ucciso da un trauma, di solito, è proprio la vitalità. Raffaele invece sembra quasi rilanciare ogni volta: più lui becca batoste e più si rialza ed è più vivo di prima, quindi questo è l'aspetto perché mi ha colpito di lui, perché trovavo che fosse di grande ispirazione e penso che lo sia anche rispetto ad una generazione, oggi, che abbassa la testa troppo facilmente oppure protesta dal divano.

Quella di Raffaelle dunque è una reazione che, seppur in modi particolari, esprime qualche cosa mentre oggi esprimiamo molto poco o per lo meno c'è una generazione che esprime poco?

Ma te lo spiego: perché quel gesto di Raffaele, ormai leggendario, ha in sé un messaggio così importante? Perché non ha un messaggio, ovvero: oggi, ogni atto di rivolta è totalmente preannunciato, commentato e susseguito da un'ideologia, da un concetto. Raffaele invece fa un gesto personale, umano, non coinvolge nessun altro, non dice: “lo sto facendo per questi, lo sto facendo per quelli”, dice: “io voglio tornare a casa a me non me ne frega niente degli altri, io devo tornare a casa! Non ho un passaporto, il mio Paese mi ha tradito” ( lui considerava l'America il suo paese), monta su un aereo e torna a casa. Come si fa con un taxi, di fatto.

Quella purezza lì, secondo me, contiene al suo interno una universalità maggiore di come oggi molto spesso invece viene condita una qualsiasi s******** che viene fatta in nome di gente di cui non sappiamo nulla, di cui non ce ne frega nulla, in realtà, ma solo perché abbiamo veramente molta paura di semplificare un'esigenza, un urlo, un grido di dolore, di rivolta, perché ci sembra che l'essere umano, cioè noi stessi, sia/siamo poco importanti, mentre invece siamo noi il centro di qualsiasi atto che andiamo a compiere, non gli altri.

Quanto c'è di italiano nell'atteggiamento di Raffaele Minichiello e quanto c'è Invece di americano?

Raffaele è un continuo alternarsi di queste due realtà e spinte: quella italiana, che è l'invenzione, l'irrazionalità, l'allegria anche in un momento di tragedia, il fatalismo, e dall'altra parte invece il sistema, il metodo, il manuale, la giustizia che per lui è americana e non italiana. D'altronde, lui stesso dice; “In America sono un uomo libero, ogni volta torno in Italia mi fermano all'aeroporto”.

Questo dualismo in realtà è ciò che lo rende Raffaele un uomo di questo secolo, questo proprio e non quello ché ha vissuto lui, lo rende totalmente attuale. Perché oggi si parla di spesso di essere fluidi da un punto di vista del genere, per esempio,ma non riusciamo ad esserlo a livello culturale. E' curioso: possiamo cambiare sesso ma non siamo in grado di accettare o di introiettare una cultura di un altro Paese. Allora, forse, la domanda da farsi è proprio questa, e Raffaele in qualche modo incarna questa domanda: come possiamo avvicinarci e ad altri se non riusciamo a contenere gli altri dentro di noi, a lasciarci attraversare da un altro ragionamento, un'altra cultura e un'altra forma mentis?

Raffaele nella sua semplicità, in qualche modo riesce a far funzionare un sistema che apparentemente sembra opposto: appunto quello dell'Italia così disordinata, così creativa, colorata così improvvisata e l'America che è l'inventore del metodo per qualsiasi cosa, del tutorial. E' il mistero di Raffaele, è la cosa meravigliosa e che lo rende così affascinante... Poi, questo mi contiene, in qualche modo, perché anche io ho un'esperienza in una giovinezza americana e tornando in Italia ho conservato delle caratteristiche di quel Paese che ho trovato straordinarie e che tuttora, tutti i giorni, cerco di fare funzionare dentro di me, con questo sistema invece che quello mio del DNA. Quindi di nuovo per me Raffaele è stato uno specchio, è proprio l'uomo di oggi. E questo suo dualismo, specialmente in un momento in cui l'America è così distante da noi sotto tanti punti di vista, forse ci può insegnare qualcosa.

Simona Foti

Ultimi video
Ultime gallerie in Cinema