(KIKA) - Era l’agosto del 1955 quando Emmett Till, ragazzino di colore di 14 anni venne rapito e ucciso da un gruppo di razzisti bianchi. Successe a Money, Mississippi, il suo assassinio fu una vendetta causata dall’aver, lui adolescente nero, fatto un apprezzamento a una giovane donna bianca. Come per il caso di George Floyd, avvenuto nel maggio del 2020, la vicenda di Emmett TIll non rimase un caso isolato di ordinario razzismo.
La madre di Emmett, conosciuta come Mamie, iniziò una dura battaglia. Espose agli sguardi del pubblico il cadavere maciullato del figlio e diede così il via alla campagna di sensibilizzazione che sfocerà nella costituzione del Movimento per i Diritti Civili americano. Ora la vicenda è diventata un film, diretto da Chinonye Chukwu, in Italia dal 2 febbraio, dall’omonimo titolo, Till, che vede protagonista Danielle Deadwyler, mentre a interpretare il giovane Emmett è Jalyn Hall.
Whoopi Goldberg, produttrice del dramma, avrebbe dovuto interpretare Mamie quando vent’anni fa si iniziò a parlare di un film sulla vicenda, ma Hollywood per troppo tempo ha nicchiato, e quando finalmente è arrivato il via libera, l’attrice era fuori tempo massimo per la parte. Ora interpreta la nonna di Emmett, Alma. “Troppo triste, troppo locale, troppo poco interessante per il pubblico internazionale, troppo lontano nel tempo, ora le cose sono cambiate. Non sa quante scuse ho dovuto sentire – dice l’attrice premio Oscar per Il Colore Viola – E’ stato solo dopo il caso di George Floyd che finalmente ricevemmo il via libera”.
Nel frattempo erano passati 18 anni.
Sì. Tutto iniziò nel 2005, quando il filmmaker Keith Beauchamp realizzò un documentario, The Untold Story of Emmett Louis Till, che fece riaprire il caso. Da allora il progetto per la realizzazione di un film si è fatto strada ma trovare i finanziatori è stata dura. Avremmo voluto realizzarlo prima della morte di Mamie, purtroppo non ci siamo riusciti.
Poi la situazione si è sbloccata.
Solo recentemente la sensibilità è cambiata, e questa è diventata una storia interessante. Chinonye Chukwu, la regista, è stata ingaggiata e ha messo subito chiaro che il punto di vista che voleva raccontare era quello della madre della vittima.
E’ infatti soprattutto una storia d’amore familiare. Fra una madre e suo figlio, ma anche fra una madre - Alma, il suo personaggio - e sua figlia.
Sì, quando Mamie decide di andare in Mississippi al processo contro gli assassini di Emmett, per difendere il nome di suo figlio, Alma tenta di dissuaderla. Mamie non si lascia convincere, dice che lo deve fare per il suo ragazzo, ma dal punto di vista di Alma quella in pericolo ora è la sua bambina. E’ un aspetto del film che coinvolgerà lo spettatore. Siamo tutti figli e molti genitori. E’ una storia universale.
Mamie decise di mostrare al mondo il corpo del figlio, distrutto dalla violenza del linciaggio, ma nel film quelle immagini crude non si vedono, come non viene mostrata la scena delle violenze.
E’ stata una scelta. C’è solo un breve attimo in cui si vede il corpo sfregiato di Emmett, ma quello che abbiamo cercato di fare è eliminare ogni possibile ammiccamento al voyeurismo. Anche nei momenti di profondo dolore emerge l’amore, di una madre e della comunità intorno a lei.
L’amore contrapposto all’odio razzista.
Quello che mostriamo in questo film è il volto del razzismo nella sua peggior espressione. Il razzismo che permette di uccidere un adolescente e di farla franca. Il razzismo che deumanizza un quattordicenne perché si è permesso di fischiare a una donna bianca.
La donna che accusò Emmett Till è ancora viva e, nonostante la riapertura del caso non è mai stata incriminata.
“E’ surreale. A questo punto nessuno pretende che vada in carcere, ha 88 anni, ma io personalmente la vorrei di fronte a un giudice e a una giuria. Vorrei che finalmente ammettesse di aver mentito quando dichiarò di essere stata abusata. Vorrei che chiarisse il ruolo che ha avuto in questa vicenda, anziché continuare a nascondersi dietro una bugia.
Nel film infatti risulta chiaro che la falsa testimonianza di quella donna al processo contro il marito e il cognato determinò la loro assoluzione dall’accusa di omicidio.
I due vennero processati ma furono dichiarati innocenti. Dal documentario di Beauchamp emerge però che in tutto furono quattordici le persone coinvolte nel linciaggio. Nessuna ha mai fatto un giorno di carcere.
Si sarebbe mai fatto questo film senza la vicenda Floyd e il movimento Black Lives Matter che ne conseguì?
Purtroppo credo di no. Vorrei essere più ottimista, ma credo che la vicenda di George Floyd abbia molto a che fare con la ragione per la quale questo progetto finalmente ha avuto il via libera.