Interviste
 
Dopo un debutto in sordina negli Usa, il film tratto dalla serie tv HBO sbarca in Italia.


Spesso capita che, al successo di una serie tv, faccia seguito una versione cinematografica. Spesso accade anche che questa versione non faccia bene come sul piccolo schermo. Pare sia questa la sorte di Entourage, che dopo la omonima fortunata serie di HBO, è diventata un film che da domani approda nelle sale cinematografiche italiane. Negli Stati Uniti è uscito a inizio giugno e non ha incassato che 31 milioni di dollari, e ora Warner spera di far meglio sulla scena internazionale.

Il film, che arriva dopo quattro anni dall’ultima stagione in tv (l’ottava) segue le vicende di Vincent Chase interpretato da Adrian Grenier, che insieme ai suoi amici Eric, Turtle, Johnny e all'agente Ari Gold, torna sulla scena del capriccioso mondo di Hollywood.  Appena sposato e già divorziato, Vince passa il tempo fra drinks e belle donne, sino a che l’agente Ari Gold, (Jeremy Piven, vincitore per questo ruolo, nella versione televisiva, di tre Emmys e di un Golden Globe) non gli offre un ruolo, che Vince accetta alla condizione di seguirne anche la regia.

Adrian, dopo l’esperienza diretta, la serie tv e questo film dovresti conoscere tutti i segreti di Hollywood, è davvero così?

“Non so se li conosco tutti, ma so una cosa: il segreto più importante sono le relazioni interpersonali.  La maggior parte delle opportunità arrivano dalle relazioni sociali.

E’ vero che vai a prenderti un caffè, incontri un regista, ci fai quattro chiacchiere e sei nel suo prossimo film,  funziona davvero così”.
Qual è stato il vero segreto del successo della serie tv Entourage?

“Amicizia e lealtà. Credo che se non avessimo raccontato di questi valori la serie non sarebbe durata così a lungo. Questi ragazzi sono la mia famiglia, non solo nella finzione cinematografica, non sono mai stato cosi affezionato e vicino a un cast e a una troupe come in Entourage. Siamo proprio amici, amici veri. Ricordo una volta, stavo con una ragazza ma non funzionava, ci lasciammo, anzi lei mi lasciò. Stavo bene, ero sereno, eppure i miei colleghi (e amici) erano preoccupatissimi, e quasi offesi dal fatto che mi fosse potuta accadere una cosa del genere ”.


Che significato ha nel tuo vocabolario la parola 'entourage?

“Ormai vuol dire fratellanza, anche se i miei amici non credo apprezzerebbero se li definissi il mio entourage. Riguardo poi il modo di comportarsi di questo gruppo di amici, non è un atteggiamento che riguarda solo Hollywood. Conosco brokers che vivono come in Entourage. Rappresenta più che altro un atteggiamento: un sodalizio di persone che vogliono uscire dal loro nido e conquistare il mondo. Riguarda tutti noi, la forza del nostro show sta nel fatto di avergli trovato un nome".

Cosa ti ha insegnato sui meccanismi di Hollywood l’esperienza con la serie prima e con il film poi?

“Nel film il mio personaggio opera questa transizione da attore a regista, non ha studiato per questo ma impara dall’ambiente che lo circonda. A me è capitata la stessa cosa”.

Hai diretto un corto sul tema dell’eutanasia  e due documentari, e ora sei impegnato nella produzione di un film ambientalista sulle balene dal titolo 52: The Search for the Loneliest Whale in the World. Perché proprio le balene?

“Cerco sempre soggetti forti per i miei documentari. Questo è uno di quelli. Vogliamo fare sentire la voce degli oceani, che hanno bisogno di strumenti per la conservazione della loro salute. I nostri mari hanno bisogno di aiuto. Qualcuno su Twitter mi ha chiesto come mai chiedo soldi per un mio progetto personale. Ho risposto che non è il mio, ma il nostro progetto, dell’umanità. E’ il nostro mondo, il nostro mare, quello li fuori”.
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