lunedì, 17 Luglio 2017

George Romero, l’ultima intervista al maestro dell’horror

di Andrea Carugati
Ecco una delle ultime interviste del maestro dell'horror
Era il 2005 quando uscì il terzultimo film del grande George Romero. La terra dei morti viventi faceva paura ma faceva anche pensare. Era un film politico, una denuncia contro la politica di Bush. Se fosse stata rilasciata oggi probabilmente ci sarebbe solo da sostituire il nome del Presidente degli Stati Uniti. Mettere Trump al posto di Bush. Ve la riproponiamo: 
Los Angeles – "Gli zombie camminano, non corrono”. Gli zombie, cinematograficamente parlando, li ha inventati lui, dunque se George Romero dice che camminano significa che camminano, punto e basta. Le altre, e se ne contano, sono stupide imitazioni.
Camminavano quelli dell'Alba dei morti viventi, fantasmi di una guerra che era incubo della coscienza di una nazione, camminavano quelli di Zombie, figli di una rivoluzione sconfitta, e camminavano quelli del Giorno degli Zombie, esercito di colletti bianchi morti da tempo.   Camminano quelli di La terra dei morti viventi, uscito nel 2005, terzultimo film del regista, che vedeva protagonista Asia Argento
Land of the Dead e' stato forse il primo film veramente politically incorrect realizzato dopo l'undici settembre. Intendiamoci bene: e' un film horror, tanto splatter da fare rabbrividire Dylan Dog o da fare impallidire Edgar Allan Poe, ma e' colmo e stracolmo di riferimenti politici e sociali, cosi' come sempre succede con i film di Romero. Una pellicola coraggiosa che contiene frasi e immagini che non possono sfuggire nemmeno allo spettatore che va al cinema una volta all'anno per vedere il film di Natale dei fratelli Vanzina. Battute come: "sogno un mondo senza barriere", "le barriere che abbiamo costruito per difenderci ci uccideranno", "noi non trattiamo con i terroristi", " voi che non avete il potere non capire qual'e' la nostra responsabilita'", non possono andare perdute.
Il film racconta di un mondo in cui i morti hanno preso il sopravvento e i pochi vivi sono costretti trascorrere l’esistenza in una città fortificata da mura, Fiddler's Green , oppressi all’esterno dagli zombie e all’interno da una specie di despota (Dennis Hopper) che dall’alto del suo grattacielo, circondato da mercenari senza scrupoli, sfrutta  gli abitanti della città a suo piacimento. Hopper, nel ruolo, e' semplicemente splendido da quanto e' dissacrante. Non solo e' il primo attore ad essersi messo le dita nel naso davanti a una cinepresa, ma e' la caricatura perfetta del nuovo repubblicano misericordioso, come ama definirsi George W. Bush. 
Lo abbiamo incontrato, George A. Romero, a Los Angeles, occhialoni con montatura nera ed eterna sigaretta in bocca, nonostante i severissimi divieti.
Allora, Mister Romero, questo e' un film decisamente politico. Dobbiamo temere gli zombi o sperare di diventare zombie?
"Nel mio mondo tutti diventiamo zombie, ma siamo sempre noi. Penso a loro come una forza esterna. Sono un gruppo rivoluzionario. Vedono le cose in modo diverso. Ho cercato di limitarmi, ma credo rappresentino gli afgani, gli iracheni, C'e quella scena del tank che entra in citta' e fa una strage. E' ovvio. Chi puo' biasimare queste persone perche' non gli andiamo a genio? E poi pensateci: se c'e' gente cosi' incazzata con noi occidentali una ragione ci sara', no?"

Probabilmente si'. Ma lei da che parte sta? E non crede che negli States ci sia una parte della popolazione che segue il leader a prescindere dalle sue idee o dalle sue azioni? Basta sia forte? Cosi' come Dennis Hopper nel film?
"E' esattamente quello che succede da entrambi i lati della barricata nella pellicola e sì credo succeda anche nelle moderne democrazie. In particolare quelle che danno un forte valore alla fede e ai suoi rappresentanti.  E poi io ho sempre simpatizzato per gli zombies, hanno un che di rivoluzionario. Rappresentano il popolo solitamente senza idee autonome che a un certo punto stanco dei soprusi si ribella. Eravamo noi nel '68. E ora siamo morti, no? I nostri ideali sono morti, io sono uno zombie"
Questo è il primo film in cui i morti imparano a prendere le armi e lottare a loro volta contro i vivi?
Non  proprio il primo, ma e' la prima volta che gli zombie si evolvono cosi' tanto, uno in particolare, dopo l'ennesima strage compiuta dai vivi, e' il leader. Un germoglio di intelligenza e questo basta perche' tutti gli altri lo seguano.
La rabbia come impulso al terrorismo e alla rivoluzione?.  Dunque 'basta seminare rabbia'? E’ questo il monito?
"Alla rivoluzione o al terrorismo, certo. Io per fare rivoltare gli zombie li ho fatti arrabbiare, li ho massacrati, li ho isolati. Alla fine la reazione arriva sempre, e' naturale. E noi questa reazione ce la siamo cercata e sinceramente secondo me adesso e' sempre più difficile tracciare la linea che divide un terrorista da un patriota."
Ma veniamo agli effetti speciali. Per le scene piu' cruente, come negli altri film, avete usato interiora di maiale?
Diciamo che per me la vita e' una questione tutta viscerale. Pero' questa volta abbiamo usato anche tecniche digitali, oltre che il maiale, ovviamente. A me interessa che la sequenza sembri reale, Come ci si arriva e' secondario.
E come mai ha scelto  Asia Argento?
Sono un vecchio amico di Dario e conosco Asia da quando era bambina e non aveva ancora un tatuaggio. E' una donna forte ed era perfetta per questo ruolo.
E' questo l'inizio di una nuova trilogia?
"Io lo vedo come un quarto film, ma se al pubblico piacera' credo si potra' parlare di una nuova trilogia.
(Infatti, dopo questo, sono usciti, nel 2007 e 2009,  Le cronache dei morti viventi e Survival of the Dead - L'isola dei sopravvisuti, ultimo film del grande maestro dell'horror , n.d.r.)


Si sente ''artisticamente intrappolato"?
"No, amo il genere. E poi non sono un patito del lavoro. Pensavo di essere gia' in pensione. Cioe', non sono finito, ho ancora tante idee e cose voglio fare, ma non sento l'urgenza di essere chiamato dal mio agente con una nuova proposta per me. Davvero. Non ho mica una casa a Malibu da mantenere come molti miei colleghi. Vivo a Pittsburgh. Diciamo che sono un'allegoria, la stessa dei miei film, la vecchia societa' mangiata e distrutta da quella nuova".
Andrea Carugati