Interviste
 
L'attore, protagonista di Southpaw - L'ultima sfida, sarà a Venezia per il film Everest.
La storia della produzione di Southpaw – L’ultima sfida, è piuttosto travagliata. Il film, sulla vita di un pugile, è in realtà una metafora e rappresenta il sequel di 8 miles, del 2002, che raccontava la storia del rapper Eminem. E’ dal 2010 che il progetto è in essere, in un primo tempo doveva essere interpretato proprio dal cantante di Detroit che però, poco prima dell’inizio delle riprese, si è tirato indietro decidendo di curarne solo la colonna sonora.

A sostituire Eminem è Jake Gyllenhaal, capace di una nuova trasformazione fisica dopo quella, notevole, per Nightcrawler. L’attore sarà a giorni a Venezia per un altro film, Everest, del regista islandese Baltasar Kormákurm che racconta di una spedizione in alta quota devastata da una tempesta di neve. Proprio il 2 settembre, data di inizio del festival, Southpaw – L’ultima sfida sarà nelle sale in Italia.

Diretto da Antoine Fuqua (Training Day) e scritto da Kurt Sutter (Sons of Anarchy) il film racconta di un boxer la cui vita viene stravolta da un tragico evento. “E’ la continuazione di 8 miles – racconta lo sceneggiatore Kurt Sutter – ma al posto di una biografia letterale facciamo una narrazione metaforica del secondo capitolo della vita di Eminem. Raccontiamo di un pugile che tocca il fondo, prima di riprendere in mano la situazione e riconquistare la sua vita e sua figlia”. Il titolo si riferisce all’essere mancino, che per un pugile è l’equivalente che essere un rapper bianco: pericoloso, non voluto e fuori dagli schemi.

“E buffo. Io l’ho saputo poco prima di girare che questo film era stato scritto per Eminem – racconta Gyllenhaal - ma ancora prima di saperlo, per prepararmi psicologicamente avevo iniziato ad ascoltare l’hip hop. Non Eminem però, soprattutto 50 Cents. Ci dev’essere davvero un parallelo fra questo tipo di musica e il pugilato”.

Ha imparato sul serio a boxare per questo film, vero?

Cinque mesi di allenamento prima di iniziare le riprese, due volte al giorno, per cinque mesi. La mattina imparavo a muovermi, acquisivo le tecniche, il pomeriggio lo dedicavo a raggiungere la giusta forma fisica. Ci sono stati giorni in cui vomitavo dalla fatica ma ne è valsa la pena, non volevo risultare falso sul ring, volevo sembrare un vero pugile. E’ stato faticoso non solo fisicamente ma anche mentalmente perché io sono molto diverso dal mio personaggio e incontravo resistenza nel dare pugni.

Questa è la storia di una persona a cui veniva detto che non era bravo abbastanza. Mai capitato a lei, vero?

Proprio in questi termini no, ma il suo viaggio emozionale mi appartiene, lui usa la sua rabbia per diventare bravo, la stessa rabbia con la quale però distrugge tutto ed è costretto a ricominciare, imparare di nuovo. Mi piacciono le storie complicate, mi piace il lavoro difficile. Quando abbiamo finito di girare, erano le 5 del mattino, eravamo a New York, avevo una protesi sulla faccia. Me la sono strappata via, come Schwarzenegger in Total Racall, sono andato a letto e ho dormito 14 ore di fila.

E’ vero che ha filmato alcune scene di pugilato con il suo Iphone e che poi sono state inserite nel film?

Andavo agli incontri, per imparare, e filmavo. Erano scene molto crude, un pugile con un occhio completamente allagato nel sangue ad esempio. Le ho mostrate al regista e le abbiamo riprodotte nel film.

Il suo personaggio è anche un padre molto amorevole.

Anche se non sono padre non è stato difficile interpretare quell’aspetto di Billy Hope. "C’è una canzone di Paul Simon che dice “Sono nato prima di mio padre, e i miei figli prima di me”. Siamo tutti un po’ indietro rispetto ai nostri figli, sono loro quelli che comandano il mondo, credo che questo film dica anche questo.

Lavorare con un bambino non le fa venire voglia di averne uno?

Sì, mi è successo, avrò dei figli un giorno ma non ne sono ossessionato. Succederà quando sarà tempo che accada e quando sarò nel momento e nel posto giusto per avere dei bambini.

A proposito di luoghi, lei sarà a Venezia, per presentare Everest. L’ultima volta in cui è stato al Festival italiano è stato per Brokeback Mountain.

Sì, dieci anni fa e, come si può immaginare, è un ricordo che mi emoziona e mi commuove. Ho memorie molto sentimentali di Venezia, è un posto magico.Ama la montagna?

Molto, Everest è stato girato fra le Dolomiti e il Nepal. E’ stato divertente avere a che fare con l’altitudine e la neve. Tutta la produzione alloggiava in un piccolo hotel, la mattina si prendeva lo skilift e poi l’elicottero, si girava tutto il giorno in quota e poi l’elicottero ci riportava giù. Mi sono sentito un bambino in vacanza sulla neve.



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