Interviste
 
Un po' Arsenio Lupin, un po' Robin Hood, la storia del ladro gentiluomo savonese.
Chi non ha mai sentito parlare di Arsenio Lupin, il ladro gentiluomo nato dalla penna e dalla fantasia dello scrittore francese Maurice Leblanc? Anche l’Italia ha avuto il suo Lupin, anzi, il suo Lupen, che “vantò” tra le sue vittime illustri persino una futura testa coronata, come il principe Carlo d’Inghilterra, cui nel 1994 rubò, ma senza saperlo, dei gemelli di Fabergé e – si sussurra – delle lettere d’amore di quella che oggi è la sua consorte, Camilla Shand, ma che allora era la sua amante.

A ricostruire la storia avventurosa e rocambolesca di Lupen, al secolo Renato Rinino, sono stati Valerio Burli e il Centro Sperimentale di Cinematografia de L’Aquila, dove Burli si è diplomato.

Rinino era nato nel quartiere popolare di “piazzale Moroni” a Savona nel 1962. Sin dalla giovinezza, spinto dalle difficili condizioni di vita, la sua “occupazione” divenne il crimine, per la precisione il furto, sempre con destrezza e mai violento perché “quando ti entra in casa, il ladro ha più paura di te”, come ripeteva spesso.

Tra le sue “imprese” spicca il furto, casuale, nell’appartamento privato del principe Carlo nella villa di St. James’ Palace, caso che tentò di sfruttare mediaticamente richiedendo che fosse il principe stesso a venire a riprendere i suoi preziosi a Savona. Rinino però non riuscì mai a stringere la mano al Principe: il ladro “buono” venne ucciso misteriosamente da un suo caro amico nel 2003.

Il film documentario, è stato presentato Lunedì 9 Novembre nella sezione “Le Perle” del MedFilm Festival di Roma, dedicata ad esordi italiani. Dalla cartella stampa si legge: “Il film indaga chi fosse veramente Renato Rinino, se oltre al personaggio mitico di "Lupin ligure" è rimasto altro nella memoria popolare. Il racconto si svolge tramite la voce dei familiari e degli amici, ritraendo così non solo una persona ma anche una realtà, in perenne oscillazione tra la disperazione e la risata, come ogni buona commedia”.

Ecco cosa ci ha raccontato il regista, Valerio Burli.

Come è nato l’interesse per la figura di Lupen, Renato Rinino?

"Il reportage costituisce il mio saggio di diploma presso il Centro Sperimentale di Cinematografia de l’Aquila. Ho presentato diversi progetti di documentari, ma c’erano sempre dei problemi logistici che li rendevano irrealizzabili. Mi ero ridotto ad un blando progetto sulla morte del mondo dell’equitazione, perché era l’unico che aveva una possibilità realizzativa… mi sono dato all’ippica, in tutti i sensi! Quando mancavano 24 ore alla consegna del progetto, ho pensato a cosa, da bambino, mi divertiva e mi incuriosiva: il mondo della magia… e dei ladri. Così, con una ricerca su internet sono approdato alla pagina wikipedia di Renato Rinino. Insomma, non sono io che ho trovato la storia, ma la storia che ha trovato me!"




È stato difficile trovare contatti, reperire le fonti?

"Sono partito con la mia tenda per Savona, “armato” della mia telecamera e della mia curiosità e in 4 giorni ho trovato familiari, parenti, amici e nemici. Non è stato particolarmente difficile: a Savona è un mito indelebile nella memoria popolare."

Cosa l’ha maggiormente colpita della figura di Lupen?

"Sembra uscito da un romanzo picaresco o da un film della Commedia all’italiana. Nonostante la disperazione – ha trascorso metà della sua vita in carcere – era la persona più felice e gioviale del mondo e tutti lo ricordano sempre sorridente. Bastava incontrarlo una volta per serbarne un ricordo forte, di solito buono: il mistero del suo sorriso è la cosa che mi ha incuriosito di più."

Un documentario su un ladro, per quanto gentiluomo, non rischia di passare per un omaggio a un criminale?

"Rinino non rubava a chiunque: prendeva informazioni sulle sue “vittime” e sottraeva quello che riteneva il superfluo a chi aveva qualcosa da nascondere. Un esempio? Derubò per tre volte la stessa persona, che non sporse mai denuncia. E non si arricchì con i proventi dei suoi furti: redistribuiva spesso quanto aveva rubato a chi, nel quartiere, era meno fortunato, pensi che ha anche contribuito a pagare gli studi universitari a chi non poteva permetterselo e ha spesso riconsegnato il maltolto se scopriva di avere sbagliato bersaglio.

Con ciò non voglio giustificare nulla: ho solo tentato di raccontare la storia straordinaria di un uomo straordinario cresciuto in un contesto straordinario e che per tutta la vita non ha fatto altro che cercare l’ordinarietà. Lecito, a questo punto domandarsi cosa sia l’ordinarietà e perché sia così ambita da alcuni e detestata da altri."



Lupen era dunque una sorta di Robin Hood?

"Sì, è facile ricondurre la sua storia a quell’archetipo, ma io ci vedo anche un prestigiatore e cabarettista."

Quale film ha fatto scattare il suo amore per il cinema?

"È stato Burn After Reading – A prova di spia dei fratelli Coen, per il modo in cui ribalta i preconcetti dei film di spionaggio. Quando l’ho visto, ho capito che il cinema poteva essere qualcosa di più oltre al semplice intrattenimento, ma anche e soprattutto emozione e sorpresa nello scoprire i ribaltamenti dell’ordinario. Al Centro Sperimentale ci hanno formato invece con i documentari. è giusto: penso che non ci possa essere buona finzione senza una profonda osservazione della realtà. Sono molto legato anche al cinema italiano degli anni 70, dei fim di Mario Monicelli, di Risi, Scola, di Pietro Germi e del grottesco di Petri e Marco Ferreri."

A cosa sta lavorando adesso?

"Ora sto lavorando, come tecnico, a un lungometraggio di cui, da contratto, non posso parlare: non è un progetto mio, ma mi consente di fare esperienza. Nel frattempo spulcio in continuazione libri, quotidiani e siti internet alla ricerca di straordinari ribaltamenti dell’ordinario. Se non ne troverò altri belli come la storia di Renato, ne scriverò uno io."

GUARDA IL TRAILER DI LUPEN, ROMANZO DI UN LADRO REALE

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