Interviste
 
L'attore anela il ritorno alla privacy dopo la fine di Twilight

“Il nostro problema è stato che Twilight ha fatto il gioco delle testate di gossip. E’ una storia romantica, quella di Bella e Edward, è facile dunque fare paragoni”. Robert Pattinson spiega così le difficoltà incontrate in questi anni, nel tentativo di vivere il più privatamente possibile la storia d’amore nata sul set di Twilight, con Kristen Stewart e giunta ora all'epilogo. Quella in sala ora è infatti la seconda parte di Breaking Dawn, l'ultimo capitolo della serie, dove Bella diventa vampiro e la bambina nata dal matrimonio fra lei e Edward deve fronteggiare il pericolo degli altri vampiri che la vogliono morta.

Per Pattinson, figli a parte la storia d'amore reale è sempre stata confusa con quella dello schermo. “Il marketing ha fatto il resto. Ad ogni film che usciva ecco che c’era qualcuno che diceva: ‘E’ esattamente come nella loro vita privata’.”.

Non ce la vendi, caro Robert. Prima di tutto Bella non tradisce Edward e poi, se i giornali fanno confusione, non è tanto perché le storie sono simili quanto per il fatto che, fra colpi di scena, tradimenti, liti e riconciliazioni, siete riusciti a rendere la vostra personale storia d’amore più avvincente di quella di un film per ragazzine in cerca di emozioni vampiresche.
“Spero che con la fine di Twilight riesca a riguadagnare un po’ della privacy perduta. E’ brutto non poter passeggiare per la strada. L’anonimato è un privilegio di cui capisci l’importanza solo quando l’hai perso”.

Cosa vorrebbe fare potendo indossare di nuovo il mantello dell’anonimato?

“Tornerei a frequentare i parcheggi. Mi piaceva tanto andare nel parcheggio del della catena di fast food In & Out di Hollywood e sedermi al sole a leggere”.

In un parcheggio?

“Sì, esattamente. Fra le cose che mi piacciono di più degli Stati Uniti ci sono i centri commerciali e i grandi piazzali di parcheggio. Mi rilassava poterli frequentare”.

E ora come si rilassa?

“Non ho grandi passatempi, passo ore al computer a cercare notizie di cinema. Suono il piano, ma non posso dire che mi rilassi un granché, infatti ho la pressione alta”.

Rifarebbe Twilight conoscendo ora il prezzo pagato: niente più parcheggi e l’ipertensione?

“Certo lo rifarei. Mi ha dato tanto. E’ stato il mio primo film americano, gli effetti collaterali, ovvero i paparazzi, sono appunto collaterali”.

Come li fronteggia?

“Bisogna sviluppare un complesso di superiorità. Guardare la gente che ti infastidisce e pensare che è solo un paparazzo o un giornalista di gossip. La cosa davvero spiacevole è quando ti si piazzano davanti a casa”.

Qual è la cosa più strana fatta da un fan?

“Non mi fraintenda, ho qualche problema con i paparazzi, ma non ho niente contro i fan. Loro sono sempre stati carini… Quasi sempre, diciamo. Una volta mi è arrivata una lettera di dodici pagine, da parte di un’astrologa che sostanzialmente diceva che la mia famiglia sarebbe morta tutta se non l’avessi sposata. La lettera finiva chiedendomi di firmare delle foto allegate, mi sono affrettato a fare quello. La mia famiglia sta bene”.

A proposito di famiglia, in quest’ultimo film interpreta un padre. Le piacciono i bambini?

“Mi piacciono, sì, mi piace lavorare con i bambini, in questo caso poi Mackenzie è stata una ventata di aria fresca. Era bello sapere che almeno uno di noi si stava divertendo davvero ed è stato bello farla sentire a suo agio. Sul set ci conosciamo tutti da cinque anni ormai, può diventare un po’ noioso se non c’è un elemento di novità”.

Se la ricorda quella prima volta, cinque anni fa, quando tutto era nuovo? Il primo provino e il primo incontro con Kristen?

“Certo, ero venuto a Los Angeles per un altro film del quale ero sicuro di far già parte. Avevo mandato un provino da Londra e mi avevano assicurato che i giochi erano praticamente fatti. Così arrivai ma feci un pasticcio. Ero così nervoso che sbagliai tutto e non mi diedero la parte. Chiamai i miei e dissi che non ne volevo più sapere di fare l’attore. Però c’era il provino di Twilight il giorno dopo, a casa della regista Catherine Hardwicke. Non pensavo di incontrare Kristen, che conoscevo per averla vista in Into the Wild. E invece era li, facemmo il provino insieme e andò molto bene”.

Non era nervoso quel giorno?

“Da morire. Presi mezza pastiglia di Valium. Non l’avevo mai fatto prima e ricordo la strada verso casa di Catherine, a Venice, sul taxi, a quel punto assolutamente rilassato. Pensai: il Valium è fantastico! Così ne presi un’altra pastiglia tre o quattro giorni dopo, quando dovetti incontrare i produttori. Mi addormentai in sala d’attesa. Imparai presto la lezione”.

In questo film la parola “per sempre” indica davvero un tempo infinito, non umano. Lei ci crede al “per sempre”, all’amore, alla felicità infinita?

“Il fatto è che c’è bisogno di un termine di paragone. Se c’è sempre felicità come la riconosci? Suona falso. Nell’amore però, se tu ami davvero qualcuno… è raro ma può succedere… se è davvero amore, be’, credo che quel tipo di amore, qualunque cosa accada, non vada mai via”.

Capito Kristen?

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