Interviste
 
L'attrice: "Per fare bel cinema non bisogna censurarsi e noi lo facciamo abitualmente".


Sono poche le attrici italiane che a Hollywood possono dire di sentirsi a casa e tra queste c'è sicuramente Valeria Golino che da queste parti ha vissuto e lavorato per un decennio, arrivando al culmine della sua esperienza americana con il film Rain Man, di Barry Levinson, accanto a Tom Cruise e Dustin Hoffman. In questi giorni l'attrice napoletana con alle spalle quasi novanta film nella veste d'attrice, ma che ora è anche produttrice e regista, ci è tornata per presentare al pubblico americano Per Amor Vostro, di Giuseppe Gaudino, che lo scorso settembre le è valso la Coppa Volpi al festival di Venezia. Proiezione avvenuta nell'ambito del primo festival di Taormina@LosAngeles, trasferta americana del popolare festival di cinema della città siciliana, nato per promuovere i film 'siciliani' negli Stati Uniti. La visionaria pellicola di Gaudino ha chiuso il festival davanti a un pubblico entusiasta, che ha emozionato anche l'attrice.

"E' stata un'accoglienza molto calda e devo dire che m’inorgoglisce molto perché questo film non solo ha rischiato di non nascere, ma ha rischiato più volte di non essere terminato: doppia soddisfazione dunque per il suo battesimo americano".

Ci sono film più importanti di altri nella vita di un attore, questo perché lo è?

Per me è stato un momento di vita, una scommessa fatta, un film marginale realizzato con pochissimi soldi, in cui tutto era a rischio. E’ stato un film sofferto. Credo sia quella la ragione per cui è così importante per me. I suoi autori andrebbero aiutati anziché marginalizzati, come succede a tutti gli artisti che fanno film molto forti e che esprimono un punto di vista molto marcato. E’ che in Italia non c’è coraggio, ci si autocensura e si fanno film medi, manca un po’ di coraggio.



Che ne pensa del fenomeno Zalone?

Non ho visto il film. Sono orgogliosa per lui e invidiosa anche, ma dirti che capisco la sua comicità è diverso. Per me Zalone è un alieno.

Intanto il cinema italiano di qualità è in crisi? Lei cosa ne pensa?

Io non sono così pessimista, come lo sono tanti, sulla salute del nostro cinema. Quest’anno c’erano tre film italiani a Cannes e Paolo Sorrentino ha vinto solo due anni fa un Oscar. Il talento c'è e quindi c'è il cinema. Se c'è un problema è semmai quello di far funzionare l'industria in modo che diventi esportabile, come fanno ad esempio i francesi che lo sanno fare bene, con risultati incredibili. Noi no. Ci sono cose che ci impediscono di farlo: burocrazie, leggi, noi stessi, la nostra mentalità.

 Non è facile lavorare negli Stati Uniti, come ci è riuscita? Come si ricorda quel periodo?

Un'esperienza elettrizzante, ho imparato tanto. La mia caratteristica era quella di non essere facilmente decifrabile, ero un'attrice che lavorava qui ma non ero l'icona italiana classica. Anche fisicamente: non ero la classica bellezza mediterranea e non rientravo nello stereotipo della donna italiana. Così sono riuscita a ritagliarmi spazi diversi.



Cosa potremmo imparare dagli americani?

La voglia di osare. Per fare del bel cinema non bisogna censurarsi e noi lo facciamo abitualmente. Sappiamo che se portiamo un tipo di prodotto questo rischia di non essere accettato e quindi evitiamo persino di scriverlo. La stessa nostra fantasia si è ristretta per fare passare prodotti sicuri che possono trovare finanziamenti. Invece bisogna sognare.

A proposito di sogni, sognando l’Oscar, lo vorrebbe come attrice o regista?

Beh, se devo sognare vorrei l’Oscar per la migliore attrice, anche perché a fare la regista ho appena cominciato, quindi ho la scusa di dire che sono in erba. Sono una vecchia attrice ma una giovane regista.

Vecchia no, ma sicuramente è sulla scena da tanto. Il segreto di questo essere longeva?


Credo dipenda dal fatto che ogni volta ricomincio da capo. Quando finisco un progetto non penso che quello che ho fatto mi faccia meritare quello che farò. Un mio successo non mi fa dare per scontato il prossimo passo. Io mi pongo sempre in una nuova situazione, la mia perseveranza consiste nel non perdere curiosità e avere voglia di fare senza dare per scontato che quello che hai fatto se lo ricordano tutti e quindi ti devono riconoscere un qualche merito.

Ne è valsa la pena?

Non avrei potuto fare altro. Non è stata una vera e propria scelta. Era l'unica cosa che sapevo fare e mi piaceva fare.

 

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