giovedì, 20 Novembre 2014
In the flesh, che dramma essere zombie e anche gay
La metafora del diverso in questa serie inglese trasmessa da BBC


Molte volte i racconti sulle creature supernaturali sono stati usati per rappresentare la metafora del diverso, dell’accettazione contrapposta all’ipocrisia e dell’apertura mentale necessaria a comprendere l’alterità. Nel caso di “In The Flesh” gli autori hanno voluto esagerare, proponendo le vicende di uno zombie da reintegrare nella società, che è anche gay. Un tripudio di diversità eccessivo da accettare per i provinciali abitanti di Roarton (superabile solo da un eventuale zombiegayneroebreo che non escludo sia in cantiere per le prossime serie o in qualche altro show).



L’ambientazione nel paesino della campagna inglese riflette la produzione di stile britannico, con un ‘andamento lento’ della narrazione che noi drogati di serie americani a volte fa fremere d’impazienza: in realtà la trama è ben costruita, e tocca diversi generi (drama post apocalittico, horror, teen drama) con qualche colpo di scena non del tutto prevedibile. Inoltre quando tutto sembra appiattirsi su una narrazione di tipo didattico–moraleggiante, anche il plot thrilleresco ha la sua bella impennata, e la fine della seconda serie ci lascia con una grande curiosità.

Il protagonista si chiama Kieren Walker (Walker! …adoro lo humour britannico!) interpretato da Luke Newberry, e come vuole la trovata centrale dello show, viene reintegrato nella cittadina natale dopo essere stato curato dal suo stato di zombie con adeguate dosi di un farmaco che permette di riottenere la capacità cognitiva e sopprimere l’istinto di attaccare gli umani; la cura non è definitiva ma impone un’iniezione quotidiana del farmaco pena il ritorno allo stato “rabbioso”, circostanza che non rassicura affatto le poco allegre comari di Roarton.

Morto suicida per amore di un ragazzo, già allora in difficoltà a far accettare le sue inclinazioni ai genitori,  Kieren fa fatica a reintegrarsi in famiglia e nella società: si intuisce che già in vita non doveva essere di carattere gioviale, ed ora la sua condizione di cadavere non lo aiuta a socializzare, benché si sforzi per diminuire il disagio proprio ed altrui.

Nella sua solitudine incontra un gruppo di “resistenza”, che nella narrazione offre lo spunto ad un’ideale interpretazione delle vicende sul piano politico e sociale, così come la storia delle strutture di rieducazione ( o si dovrebbero chiamare “campi”?) in cui i PDS (ovvero gli affetti da quella che è definita Sindrome di Morte Parziale ) sono rinchiusi e riabilitati alla convivenza civile. Il gruppo è guidato da una sorta di profeta e non si farà mancare atti dimostrativi in un germe di quelle che si potrebbero definire azioni “terroristiche”; tuttavia la lettura fantapolitica è sottopesata nella trama, benché presente.


Più sviluppato il piano di lettura intimista, con il tentativo di assomigliare ai vivi grazie al kit di lenti a contatto (per nascondere le pupille dalle fattezze inumane) e un particolare tipo di fondotinta (per nascondere il pallore cadaverico – lo voglio anch’io per non essere costretto ad andare al mare con i turisti ); soluzione in parte richiesta da quei “malati” che stancamente preferiscono non esporsi al pubblico ludibrio, in parte dalla società, che pretende ci si vergogni ad essere “diversi”, e che per non sentirsi accusare di voltare gli occhi al problema esige che il problema si doti di makeup.

La forza della serie è anche la sua debolezza, voler tenere insieme tanti argomenti e tanti spunti senza poterne approfondire compiutamente nessuno, anche a causa del fatto che le due stagioni finora andate in onda totalizzano insieme solo nove episodi. Ne consegue che a parte il bravissimo protagonista, gli altri personaggi appaiono un po’ troppo caratterizzati e piatti, o troppo bigotti, o troppo benevoli; iscritti al partito degli ‘spaventati dall’altro sempre e comunque’ oppure all’opposto allegramente disposti ad accoppiarsi con i ‘parzialmente deceduti’ sessualmente disponibili. Anche gli unici personaggi che cambiano idea, lo fanno cosi repentinamente da sembrare più schizofrenici che in preda a dubbi e crisi etiche.

L’idea iniziale validissima sconta una realizzazione ben fatta ma a cui manca il famoso quid per insinuarsi  nella pancia oltre che nella testa dello spettatore. Eppure in genere gli zombi ci riescono benissimo.

Hashtag #dirittilgbtZ -  Voto 7 - due stagioni andate in onda su BBC three e HD-2013 e 2014

Corrado Gigliotti
Comunicatore, screen addicted, ha studiato con Carlo Freccero e Felice Rossello, se qualcosa è rimasto tra i neuroni potrebbe valere la pena leggerlo.
gigliocorrado@twitter.com