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Un documentario in uscita il 5 novembre racconta come nacque Le 24 ore di Le Mans.
Anche chi è nato dopo la morte di Steve McQueen sa che l'attore americano fu l'emblema della vita spericolata, tanto che nella canzone omonima Vasco Rossi anela proprio a "una vita come Steve McQueen". Di lui si sa che era una personalità irrequieta, un divo anticonvenzionale che amava misurarsi con il rischio: era amante delle motociclette e delle fuoriserie.

Era un pilota provetto: nel 1970 arrivò secondo alla 12 ore di Sebring subito dietro Mario Andretti, guidando per giunta con un piede fasciato. Ma la corsa cui legò il suo nome fu la 24 ore di Le Mans, che raccontò in un film omonimo diretto da Lee H. Katzin: l'attore non partecipò direttamente, visto che la produzione negò il supporto assicurativo nel caso in cui egli avesse gareggiato, ma rese una realistica testimonianza su uno dei più famosi periodi della storia motoristica. Il film fu un flop al botteghino ma viene oggi ricordato come uno tra i migliori film di corse automobilistiche mai girato.

Ma cosa successe veramente dietro le quinte? Ce lo racconta Steve McQueen: The Man e Le Mans, un documentario diretto da Gabriel Clarke e John McKenna, presentato al Festival di Cannes e in uscita nei cinema il 5 novembre prossimo, che svela i retroscena della pellicola e il comportamento dell'attore durante le riprese.

"Quello che ci è successo mentre giravamo il film non dovrebbe succedere a nessuno - ha raccontato Bob Rosen, funzionario di produzione della pellicola, alludendo al comportamento dello stesso McQueen, che era nella posizione di poter fare tutto ciò che voleva.

L'attore sognava da tempo di raccontare in un film la sua grande passione per le corse automobilistiche, uno sport cui si era dedicato per più di un decennio e che nessuna pellicola era mai riuscita a descrivere appieno, secondo lui, che aveva invece in mente di realizzare "il perfetto film sulle corse", per permettere agli spettatori di capire fino in fondo cosa significasse competere ai più alti livelli.

A dirigere la pellicola avrebbe dovuto essere John Sturges, che aveva già diretto McQueen ne I Magnifici Sette e La Grande Fuga, secondo il copione di Alan Trustman, ma i diverbi tra McQueen e lo sceneggiatore circa il finale - l'attore avrebbe voluto che il suo personaggio uscisse sconfitto - lasciò il film senza script proprio mentre cominciava a delinearsi il cast. Risultato? Sturges rinunciò al progetto, rimpiazzato da Katzin, mentre McQueen venne "retrocesso" da produttore, con la sua Solar, a semplice attore protagonista.

Oltre a questi retroscena, nel documentario scopriamo un McQueen per quanto spericolato anche scosso dalle vicende personali, in particolare la confessione dell'allora moglie Nellie (da cui divorziò nel 1972) di averlo tradito dopo aver sopportato per anni in silenzio le sue infedeltà, e la scoperta di essere in cima alla lista delle celebrità che Charles Manson voleva eliminare: l'attore avrebbe dovuto essere ospite di Sharon Tate la notte in cui l'attrice moglie di Roman Polansky e i suoi amici vennero massacrati nella sua villa di Bel Air da Manson e dalle sue "discepole".

La vita spericolata di Steve McQueen si concluse nel 1980, per colpa delle amatissime corse automobilistiche ma non in seguito da un incidente come forse ci si sarebbe aspettato da uno come lui, che viveva tutto al limite: morì per un tumore alla pleura causato dall'amianto, di cui furono rinvenute tracce nelle tute dei piloti automobilistici utilizzate dallo stesso attore.

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